TOUR DE FRANCE 1971, Luis Ocaña, vincitore morale dell’edizione del 1971.
L’avrebbe inserita nel proprio palmares, accanto a quella conseguita due anni più tardi, se la malasorte non gli avesse teso un agguato nella difficile discesa dal Col de Menté, dove c’è una curva maledetta, che miete vittime a ripetizione, come la picchiata dello Stockeu affrontata nella tappa di Pau. Giù Merckx, che si rialza. Giù Ocaña, che si rialza. Ma mentre si sta per rimettere in sella, va giù anche Zoetemelk, che lo risbatte violentemente a terra. Il dolore è forte, lo spagnolo in maglia gialla urla e urge un ricovero in ospedale, dove al danno si aggiunge la beffa: gli esami dimostrano che Ocaña non s’era rotto neppure un ossicino. Avrebbe potuto continuare e vincere, perché difficilmente Merckx sarebbe riuscito a scalfire il dominio dello scatenato spagnolo lanciato sulle strade del Tour 1971.
Eddy Merckx si presentò alla partenza del Tour del ‘71 con il ruolo di grande favorito, deciso a cogliere il terzo successo consecutivo sulle strade di Francia.
Neppure aveva disputato il Giro d’Italia, desideroso com’era di compiere un’impresa che già sapeva di leggenda.
Per come aveva trionfato nei due anni precedenti, sembrava che gli avversari potessero ben poco contro lo strapotere del belga. Era ancora vivo il ricordo della cavalcata pirenaica di due anni prima, quando Eddy si era lanciato in una fuga vittoriosa che aveva strappato applausi a tutti gli addetti ai lavori.
Eppure alla partenza da Mulhouse si respirava un’aria diversa dal solito.
Eddy non aveva dominato come il solito in primavera e c’era chi – come Anquetil – riteneva il belga grande favorito, ma comunque vulnerabile.
Assente Gimondi, la pattuglia degli avversari annoverava, in prima fila, oltre a Thévenet, Zoetemelk e Van Impe, l’agguerrito drappello degli spagnoli: soprattutto Ocaña e Fuente – era facile prevederlo – avrebbero reso difficile la vita al belga in un Tour ricco di salite.
Eddy va subito in giallo, secondo le previsioni, ma sul Puy de Dome, all’ottava frazione, scatta un primo campanello d’allarme, perchè quei quindici secondi di ritardo dal vincitore Ocaña sono qualcosa di più di un semplice dato cronometrico.
A Grenoble, il giorno successivo, c’è la conferma che qualcosa non va: può invocare la scusante di una foratura, ma il minuto e trentasei secondi concessi allo spagnolo della Bic e la perdita della maglia gialla a favore di Zoetemelk scalfiscono l’alone d’imbattibilità del belga.
Il giorno successivo accade l’imprevedibile.
Approfittando di una giornata non eccelsa di Merckx, reduce da una notte tormentata, Luis Ocaña attacca sin dall’avvio in compagnia di Agostinho, Van Impe e Zoetemelk sulle dure rampe della côte de Laffrey, per poi lanciarsi in una cavalcata solitaria che lo vede trionfare a Orcières-Merlette, dove infligge un distacco di otto minuti e quarantadue secondi al belga.
Merckx è spodestato, un vero e proprio regicidio impensabile alla vigilia.
Eddy incassa il colpo ma, dopo il giorno di riposo, parte all’attacco nella tappa di Marsiglia, recuperando poco più di due minuti di ritardo.
Scrive bene Bruno Raschi: ”I morti fanno ancora sette salti. Sarà bene aspettare che diventino freddi, insomma, prima di portarli via”.
La voglia di reagire c’è eccome, ma quello spagnolo con l’aria triste è riuscito a dimostrare che il belga può essere battuto. Non è un corridore qualunque quell’iberico con alle spalle una storia non comune.
Il padre ha lasciato la Spagna quando lui era piccolo per allontanarsi dal franchismo e trovando rifugio in Francia. Luis ha vissuto il resto della sua vita lontano dalla sua terra che non lo amava perché non allineato al regime.
Ottimo passista, forte in salita, ha vinto la Vuelta dell’anno precedente e a cronometro non teme di confrontarsi con i migliori (Gran Premio delle Nazioni e Lugano sono nel suo palmares).
La dimostrazione arriva nella breve cronometro di Albi (la prima tappa del Tour ad essere trasmessa a colori) dove concede al campione fiammingo solo una manciata di secondi.
Quanto alle salite, poi, ha dimostrato di non temere le pendenze più arcigne.
Ci si sarebbe giocato tutto sui Pirenei dove Merckx – era facile prevederlo – avrebbe dato l’anima, prima di passare lo scettro al suo rivale.
La prima delle tre tappe pirenaiche si disputa il 12 luglio: 214,5 km da Revel a Luchon, con il Portet d’Aspet, il Menté e il Portillon.
La frazione è caratterizzata sin dall’inizio da attacchi e contrattacchi. Dopo una cinquantina di chilometri che un terzetto prende il largo: sono Van Katwjk, Martellozzo e Fuente, che incrementano rapidamente il loro vantaggio, sino raggiungere i tre minuti al centesimo chilometro e, addirittura, a superare i sei minuti dopo 120 chilometri di gara. Alle loro spalle si sganciano Guimard, Swerts e poi il nostro Simonetti, che sta disputando un ottimo Tour.
E’ al km 135 che Merckx accelera, staccando di alcuni metri Ocaña, che prontamente si riporta sotto. Il guanto della sfida è lanciato e sul Portet d’Aspet il belga attacca.
Vuole saggiare le condizioni di Ocaña, provare ad innervosirlo, ma la maglia gialla non lo molla ed è il primo a riportarsi sotto, in compagnia di Van Impe.
Fuente, nel frattempo, ha lasciato i compagni di fuga e transita per primo in vetta.
Merckx e Ocaña, in compagnia di Van Impe, Zoetemelk e Thévenet, inseguono a oltre cinque minuti.
Eddy è salito forte, ma l’iberico è in grande spolvero e non mostra il minimo segno di cedimento.
Dopo una breve discesa, comincia la salita del Col de Menté, inserito nel percorso per la prikma volta nel 1966 grazie ad una segnalazione di Luison Bobet.
Merckx è una furia in salita. Letort, che inseguiva Fuente, è presto raggiunto, cosi come Van Springel. Ocaña e Van Impe tengono benissimo le ruote del belga, mentre Zoetemelk accusa un lieve cedimento.
E’ una sfida appassionante, un testa a testa che non può risolversi in parità.
Improvvisamente il cielo si oscura e comincia a piovere.
In vetta, Fuente transita al comando con un vantaggio di quattro minuti e 50 secondi su Merckx Ocaña, Van impre e Zoetemelk, preceduti di poco da Guimard e seguiti a una manciata di secondi da Thévenet.
La pioggia aumenta d’intensità sino a diventare una vera e propria alluvione, e la discesa del Menté si trasforma in un calvario per i corridori. La strada è attraversata da veri e propri torrenti: restare in piedi è un esercizio difficile, perché i freni non rispondono e s’imporrebbe prudenza.
Ma in gioco c’è la vittoria al Tour e Merckx scende come se la strada fosse perfettamente asciutta, rischiando oltre ogni limite. Ocaña potrebbe stare tranquillo, il vantaggio è rassicurante – più di sette minuti – e c’è un altro colle da scalare.
Ma lui non è come Bahamontes, non appartiene alla pur numerosa genìa degli spagnoli timorosi nell’affrontare le discese. Lui è Ocaña, l’uomo che ha umiliato Merckx in salita e che non vuole concedere nemmeno un metro al rivale.
Dopo quattro chilometri di discesa, nell’impostare una curva a sinistra, Merckx sbanda. Sembra di guadare un fiume, tanta è la quantità d’acqua che attraversa la sede stradale.
Il belga tocca con la coscia la parete rocciosa, riesce miracolosamente a mantenere l’equilibrio, ma si sbilancia e subito dopo cade. Si rialza immediatamente e riprende la discesa.
Ocaña, che lo segue dappresso, cade a sua volta. Anche per la maglia gialla le conseguenze della caduta non sono tali da impedirgli di risalire in sella.
Lo stesso Merckx con la coda dell’occhio si avvede della caduta del rivale ma – racconterà nel dopo corsa – gli era sembrato che stesse per rimettersi al suo inseguimento.
Mentre Ocaña si sta rialzando, però, sopraggiunge Zoetemelk che non riesce a frenare e piomba addosso alla maglia gialla sul ciglio della strada.
L’impatto è tremendo e lo spagnolo si accascia al suolo. Il dolore al torace è atroce, straziante. Piange Ocaña, perché sa che il suo sogno è finito.
La notizia scuote il Tour ed è di quelle che lasciano il segno. Si teme il peggio ma, fortunatamente, le prime notizie che giungono dall’ospedale di Saint Gaudens, dove Ocaña è stato trasportato in elicottero, sono rassicuranti: non ci sono fratture, né lesioni interne.
Quasi un miracolo e ci sarà anche chi rimprovererà Ocaña per avere gettato la spugna.
Merck, secondo a Luchon alle spalle di Fuente, rifiuta di indossare la maglia gialla e dopo l’arrivo si reca all’ospedale per sincerarsi delle condizioni del suo avversario. E’ scosso, il belga, e si sussurra anche di un suo possibile ritiro. Poi ci ripensa e chiede, ottenendola, dagli organizzatori l’autorizzazione a non indossare, il giorno successivo, il simbolo del primato in classifica.
Neppure aveva disputato il Giro d’Italia, desideroso com’era di compiere un’impresa che già sapeva di leggenda.
Per come aveva trionfato nei due anni precedenti, sembrava che gli avversari potessero ben poco contro lo strapotere del belga. Era ancora vivo il ricordo della cavalcata pirenaica di due anni prima, quando Eddy si era lanciato in una fuga vittoriosa che aveva strappato applausi a tutti gli addetti ai lavori.
Eppure alla partenza da Mulhouse si respirava un’aria diversa dal solito.
Eddy non aveva dominato come il solito in primavera e c’era chi – come Anquetil – riteneva il belga grande favorito, ma comunque vulnerabile.
Assente Gimondi, la pattuglia degli avversari annoverava, in prima fila, oltre a Thévenet, Zoetemelk e Van Impe, l’agguerrito drappello degli spagnoli: soprattutto Ocaña e Fuente – era facile prevederlo – avrebbero reso difficile la vita al belga in un Tour ricco di salite.
Eddy va subito in giallo, secondo le previsioni, ma sul Puy de Dome, all’ottava frazione, scatta un primo campanello d’allarme, perchè quei quindici secondi di ritardo dal vincitore Ocaña sono qualcosa di più di un semplice dato cronometrico.
A Grenoble, il giorno successivo, c’è la conferma che qualcosa non va: può invocare la scusante di una foratura, ma il minuto e trentasei secondi concessi allo spagnolo della Bic e la perdita della maglia gialla a favore di Zoetemelk scalfiscono l’alone d’imbattibilità del belga.
Il giorno successivo accade l’imprevedibile.
Approfittando di una giornata non eccelsa di Merckx, reduce da una notte tormentata, Luis Ocaña attacca sin dall’avvio in compagnia di Agostinho, Van Impe e Zoetemelk sulle dure rampe della côte de Laffrey, per poi lanciarsi in una cavalcata solitaria che lo vede trionfare a Orcières-Merlette, dove infligge un distacco di otto minuti e quarantadue secondi al belga.
Merckx è spodestato, un vero e proprio regicidio impensabile alla vigilia.
Eddy incassa il colpo ma, dopo il giorno di riposo, parte all’attacco nella tappa di Marsiglia, recuperando poco più di due minuti di ritardo.
Scrive bene Bruno Raschi: ”I morti fanno ancora sette salti. Sarà bene aspettare che diventino freddi, insomma, prima di portarli via”.
La voglia di reagire c’è eccome, ma quello spagnolo con l’aria triste è riuscito a dimostrare che il belga può essere battuto. Non è un corridore qualunque quell’iberico con alle spalle una storia non comune.
Il padre ha lasciato la Spagna quando lui era piccolo per allontanarsi dal franchismo e trovando rifugio in Francia. Luis ha vissuto il resto della sua vita lontano dalla sua terra che non lo amava perché non allineato al regime.
Ottimo passista, forte in salita, ha vinto la Vuelta dell’anno precedente e a cronometro non teme di confrontarsi con i migliori (Gran Premio delle Nazioni e Lugano sono nel suo palmares).
La dimostrazione arriva nella breve cronometro di Albi (la prima tappa del Tour ad essere trasmessa a colori) dove concede al campione fiammingo solo una manciata di secondi.
Quanto alle salite, poi, ha dimostrato di non temere le pendenze più arcigne.
Ci si sarebbe giocato tutto sui Pirenei dove Merckx – era facile prevederlo – avrebbe dato l’anima, prima di passare lo scettro al suo rivale.
La prima delle tre tappe pirenaiche si disputa il 12 luglio: 214,5 km da Revel a Luchon, con il Portet d’Aspet, il Menté e il Portillon.
La frazione è caratterizzata sin dall’inizio da attacchi e contrattacchi. Dopo una cinquantina di chilometri che un terzetto prende il largo: sono Van Katwjk, Martellozzo e Fuente, che incrementano rapidamente il loro vantaggio, sino raggiungere i tre minuti al centesimo chilometro e, addirittura, a superare i sei minuti dopo 120 chilometri di gara. Alle loro spalle si sganciano Guimard, Swerts e poi il nostro Simonetti, che sta disputando un ottimo Tour.
E’ al km 135 che Merckx accelera, staccando di alcuni metri Ocaña, che prontamente si riporta sotto. Il guanto della sfida è lanciato e sul Portet d’Aspet il belga attacca.
Vuole saggiare le condizioni di Ocaña, provare ad innervosirlo, ma la maglia gialla non lo molla ed è il primo a riportarsi sotto, in compagnia di Van Impe.
Fuente, nel frattempo, ha lasciato i compagni di fuga e transita per primo in vetta.
Merckx e Ocaña, in compagnia di Van Impe, Zoetemelk e Thévenet, inseguono a oltre cinque minuti.
Eddy è salito forte, ma l’iberico è in grande spolvero e non mostra il minimo segno di cedimento.
Dopo una breve discesa, comincia la salita del Col de Menté, inserito nel percorso per la prikma volta nel 1966 grazie ad una segnalazione di Luison Bobet.
Merckx è una furia in salita. Letort, che inseguiva Fuente, è presto raggiunto, cosi come Van Springel. Ocaña e Van Impe tengono benissimo le ruote del belga, mentre Zoetemelk accusa un lieve cedimento.
E’ una sfida appassionante, un testa a testa che non può risolversi in parità.
Improvvisamente il cielo si oscura e comincia a piovere.
In vetta, Fuente transita al comando con un vantaggio di quattro minuti e 50 secondi su Merckx Ocaña, Van impre e Zoetemelk, preceduti di poco da Guimard e seguiti a una manciata di secondi da Thévenet.
La pioggia aumenta d’intensità sino a diventare una vera e propria alluvione, e la discesa del Menté si trasforma in un calvario per i corridori. La strada è attraversata da veri e propri torrenti: restare in piedi è un esercizio difficile, perché i freni non rispondono e s’imporrebbe prudenza.
Ma in gioco c’è la vittoria al Tour e Merckx scende come se la strada fosse perfettamente asciutta, rischiando oltre ogni limite. Ocaña potrebbe stare tranquillo, il vantaggio è rassicurante – più di sette minuti – e c’è un altro colle da scalare.
Ma lui non è come Bahamontes, non appartiene alla pur numerosa genìa degli spagnoli timorosi nell’affrontare le discese. Lui è Ocaña, l’uomo che ha umiliato Merckx in salita e che non vuole concedere nemmeno un metro al rivale.
Dopo quattro chilometri di discesa, nell’impostare una curva a sinistra, Merckx sbanda. Sembra di guadare un fiume, tanta è la quantità d’acqua che attraversa la sede stradale.
Il belga tocca con la coscia la parete rocciosa, riesce miracolosamente a mantenere l’equilibrio, ma si sbilancia e subito dopo cade. Si rialza immediatamente e riprende la discesa.
Ocaña, che lo segue dappresso, cade a sua volta. Anche per la maglia gialla le conseguenze della caduta non sono tali da impedirgli di risalire in sella.
Lo stesso Merckx con la coda dell’occhio si avvede della caduta del rivale ma – racconterà nel dopo corsa – gli era sembrato che stesse per rimettersi al suo inseguimento.
Mentre Ocaña si sta rialzando, però, sopraggiunge Zoetemelk che non riesce a frenare e piomba addosso alla maglia gialla sul ciglio della strada.
L’impatto è tremendo e lo spagnolo si accascia al suolo. Il dolore al torace è atroce, straziante. Piange Ocaña, perché sa che il suo sogno è finito.
La notizia scuote il Tour ed è di quelle che lasciano il segno. Si teme il peggio ma, fortunatamente, le prime notizie che giungono dall’ospedale di Saint Gaudens, dove Ocaña è stato trasportato in elicottero, sono rassicuranti: non ci sono fratture, né lesioni interne.
Quasi un miracolo e ci sarà anche chi rimprovererà Ocaña per avere gettato la spugna.
Merck, secondo a Luchon alle spalle di Fuente, rifiuta di indossare la maglia gialla e dopo l’arrivo si reca all’ospedale per sincerarsi delle condizioni del suo avversario. E’ scosso, il belga, e si sussurra anche di un suo possibile ritiro. Poi ci ripensa e chiede, ottenendola, dagli organizzatori l’autorizzazione a non indossare, il giorno successivo, il simbolo del primato in classifica.
Merckx si aggiudicherà il suo terzo Tour consecutivo, ma il dubbio resterà per sempre.
Ce l’avrebbe fatta a scalzare Ocaña senza quella caduta nella discesa del Col de Menté? Probabilmente no, ed è per questo che, a distanza di quasi quarant’anni, il Tour del 71 è ricordato come il Tour di Ocaña. Ancor più dell’edizione di due anni dopo che – assente Merckx – vedrà il successo finale del campione iberico.
Una vittoria virtuale, quella del 71, quasi che la corsa si fosse conclusa in quella curva e non sulla pista della “Cipale”, il velodromo di Vincennes (l’arrivo sugli Champs Élysées sarà introdotto nel 1975, mentre fino al 1967 il traguardo finale era stabilito presso il Parc des Princes.)
Chi si trovi oggi a percorrere il Col de Menté si imbatterà in una lastra si marmo apposta nel 1991 su iniziativa del consiglio regionale dei Midi-Pyrénées, sulla quale è inciso cosa accadde quel 12 luglio di vent’anni prima quando, su quella strada trasformata in un torrente, Ocaña abbandonò le sue speranze di vittoria.
Il campione triste era stato definito. E la sfortuna gli sarebbe stata compagna anche dopo la fine della carriera (avvenuta nel 1977) quasi che quella disgraziata caduta fosse un presagio del destino: gravi incidenti d’auto (uno dei quali gli procurò la cecità da un occhio), l’epatite, problemi nella gestione della sua tenuta nel sud della Francia, nella quale produceva vini.
Forse ci fu anche dell’altro e Luis Ocaña si tolse la vita nel 1994: le sue ceneri furono disperse sui Pirenei, al confine tra il Paese dov’era nato e quello nel quale trascorse la sua vita.
L’essenza di Ocaña è ancora lì, nella discesa del Col de Menté.
Ce l’avrebbe fatta a scalzare Ocaña senza quella caduta nella discesa del Col de Menté? Probabilmente no, ed è per questo che, a distanza di quasi quarant’anni, il Tour del 71 è ricordato come il Tour di Ocaña. Ancor più dell’edizione di due anni dopo che – assente Merckx – vedrà il successo finale del campione iberico.
Una vittoria virtuale, quella del 71, quasi che la corsa si fosse conclusa in quella curva e non sulla pista della “Cipale”, il velodromo di Vincennes (l’arrivo sugli Champs Élysées sarà introdotto nel 1975, mentre fino al 1967 il traguardo finale era stabilito presso il Parc des Princes.)
Chi si trovi oggi a percorrere il Col de Menté si imbatterà in una lastra si marmo apposta nel 1991 su iniziativa del consiglio regionale dei Midi-Pyrénées, sulla quale è inciso cosa accadde quel 12 luglio di vent’anni prima quando, su quella strada trasformata in un torrente, Ocaña abbandonò le sue speranze di vittoria.
Il campione triste era stato definito. E la sfortuna gli sarebbe stata compagna anche dopo la fine della carriera (avvenuta nel 1977) quasi che quella disgraziata caduta fosse un presagio del destino: gravi incidenti d’auto (uno dei quali gli procurò la cecità da un occhio), l’epatite, problemi nella gestione della sua tenuta nel sud della Francia, nella quale produceva vini.
Forse ci fu anche dell’altro e Luis Ocaña si tolse la vita nel 1994: le sue ceneri furono disperse sui Pirenei, al confine tra il Paese dov’era nato e quello nel quale trascorse la sua vita.
L’essenza di Ocaña è ancora lì, nella discesa del Col de Menté.
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